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QUANDO L’ACQUA NON È (COSÌ) TRASPARENTE: IL CASO DANONE

All’aumento della sensibilità del pubblico nei confronti delle tematiche legate ai temi ecologici e al cambiamento climatico è corrisposto, negli ultimi anni, una decisa svolta nelle modalità comunicative delle aziende che, sempre più spesso, tendono ad utilizzare i cosiddetti claim ambientali o “green claim”. I “green claim”, che consistono in affermazioni che suggeriscono, evocano o lasciano intendere il minore o ridotto impatto ambientale del prodotto o del servizio offerto sul mercato, infatti, sono diventati un importante strumento pubblicitario tramite il quale le imprese mirano a condizionare significativamente le scelte di acquisto dei consumatori.

Particolarmente rilevante, sia dal punto di vista del business che per le ricadute nel contesto giuridico, è, tuttavia, il fatto che numerose aziende siano propense all’utilizzo, nella propria comunicazione commerciale, di slogan con le caratteristiche esaminate poco sopra, anche nei casi in cui il loro contenuto non corrisponda al vero. Tale pratica è definita “greenwashing”, ossia appropriazione indebita di virtù ambientaliste finalizzata alla creazione di un’immagine attenta all’ambiente, la quale non rispecchia, però, il reale impatto dell’azienda.

Proprio delle scorse settimane è la notizia di una class action proposta dinanzi ad un tribunale statunitense nei confronti di Danone Waters of America Inc., accusata di “greenwashing” per aver ingannevolmente commercializzato l’acqua Evian come “carbon neutral”. Con l’espressione “carbon neutrality” si intende il bilanciamento tra emissioni di gas serra generate ed emissioni di gas serra riassorbite nel corso della filiera produttiva. Porsi l’obiettivo di diventare “carbon neutral”, per un’impresa, significa quindi, farsi carico della propria impronta climatica e scegliere di rendere le proprie attività a impatto zero sull’ambiente.

Secondo quanto emerso dal ricorso depositato presso il Tribunale distrettuale del distretto di New York, la Danone, presentando l’acqua Evian come neutrale dal punto di vista delle emissioni di carbonio, pone in essere una condotta ingannevole nei confronti dei consumatori, inducendoli a pensare che il prodotto sia realizzato in modo sostenibile e senza emissioni di CO2.

Secondo le argomentazioni degli attori, la convenuta potrebbe sostenere che la dicitura “carbon neutral” denoti il fatto che gli investimenti effettuati in progetti ecologici “compensino” le emissioni di anidride carbonica determinate dalla produzione dell’acqua imbottigliata; tuttavia, una siffatta spiegazione, oltre a non rispecchiare il messaggio apprezzabile dal consumatore medio con riferimento alla suddetta dicitura, risulta totalmente assente sia dalle etichette, sia dalle confezioni di acqua Evian. In questo modo, a disposizione del consumatore non vi è alcuna spiegazione sul motivo per cui i prodotti in questione possano considerarsi neutri dal punto di vista delle emissioni di carbonio, né alcuna definizione, anche tramite rimandi al proprio sito web o ad altre fonti, su cosa debba intendersi specificamente per “carbon neutrality”.

Piuttosto che eliminare o ridurre in maniera effettiva l’inquinamento da CO2 nel corso della filiera produttiva, la Danone ha, infatti, versato ingenti somme di denaro a favore del Livelihoods Carbon Funds (LCF), il quale, a propria volta, provvede a reinvestirle in progetti agroforestali con lo scopo di ripristinare gli ecosistemi. L’azienda – si legge nel ricorso, oltre che sul sito ufficiale del LCF – in cambio di tale contributo finanziario non riceve un ritorno monetario sull’investimento, bensì dei crediti di carbonio ad alto valore sociale, che possono essere utilizzati per compensare parte delle emissioni di CO2 che l’investitore non può evitare.

Presentando l’acqua Evian come neutra sotto il profilo delle emissioni di anidride carbonica, la Danone sembrerebbe sottintendere che la CO2 prodotta durante l’intero ciclo di vita del prodotto sia già stata totalmente compensata o che lo sarà nel prossimo futuro. Secondo il ricorrente, tuttavia, tali affermazioni risulterebbero manifestamente inesatte, false, ingannevoli e fuorvianti per i consumatori, considerato che, da un lato, per l’attuazione dei progetti del Livelihoods Carbon Funds sono necessari decenni e, dall’altro, che il trasporto dell’acqua Evian e la plastica minimamente riciclabile utilizzata durante la sua produzione rilasciano, nell’atmosfera, volumi relativamente elevati di anidride carbonica. Di conseguenza, diversamente da quanto esplicitamente dichiarato dalla convenuta, l’acqua Evian non risulterebbe neutrale dal punto di vista delle emissioni di carbonio.

Pur senza diramare commenti specifici sulla controversia pendente, l’azienda statunitense ha dichiarato come «ogni anno misuriamo le emissioni di anidride carbonica in tutte le fasi del ciclo di vita di una bottiglia di Evian e ci impegniamo costantemente per ridurre tale impronta», aggiungendo che «il nostro sito di imbottigliamento funziona al 100% con energia rinnovabile e abbiamo ridotto il consumo energetico assoluto del sito del 28% dal 2008» e concludendo affermando che «collaboriamo con il Livelihoods Carbon Funds, che finora ha piantato 130 milioni di alberi, sequestrando le emissioni di carbonio dall’atmosfera». La convenuta, inoltre, ha concluso precisando che «i prodotti Evian sono certificati carbon neutral dal Carbon Trust secondo lo standard di neutralità del carbonio PAS 2060, l’unico standard internazionale riconosciuto per la neutralità del carbonio».

In attesa della decisione del Tribunale distrettuale newyorkese, è utile ricordare come la necessità di un uso corretto dei cosiddetti “green claim” sia stata già posta all’attenzione di varie Autorità, sia giudiziarie sia, in particolare, amministrative. Sul territorio italiano, è interessante ricordare la posizione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), la quale si è pronunciata proprio sull’utilizzo dei “green claim” nella comunicazione commerciale di bottiglie d’acqua minerale.

Con il provvedimento n. 24046/2012, l’AGCM ha sanzionato la società Fonti di Vinadio S.p.A. per la diffusione di messaggi pubblicitari volti ad enfatizzare i risparmi in termini di emissioni di gas inquinanti derivanti dall’utilizzo dell’innovativa bottiglia “Bio Bottle” per l’imbottigliamento dell’acqua minerale Sant’Anna, realizzata utilizzando la bioplastica al posto del PET. A giudizio dell’Autorità, nel caso di specie, «il professionista nella promozione del profilo ambientale della bottiglia “Bio Bottle” ne ha […] esagerato i benefici conseguibili dalla sua attuale ed effettiva utilizzazione quantificandoli, peraltro, sulla base di dati erronei e procedendo a meccanismi di calcolo fondato su approssimazioni non basate su una metodologia scientificamente approfondita e completa».

Nello stesso anno, la Ferrarelle S.p.A. è stata multata dall’AGCM, con il provvedimento n. 23278/2012, per aver utilizzato diciture ingannevoli sugli involucri delle proprie bottiglie: in particolare, a finire sotto la lente di ingrandimento sono stati sia il claim “Prodotto a ImpattoZero®. Rispetta la natura”, sia la descrizione estesa ad esso allegata. In tale occasione, l’Autorità ha affermato che «la combinazione di immagini, slogan e descrittive utilizzate da Ferrarelle nella campagna pubblicitaria in contestazione non sembrano idonee a fornire, con sufficiente veridicità e immediatezza l’effettiva portata e caratteristiche del progetto ambientale in questione e, di conseguenza, accreditano il prodotto e l’impresa Ferrarelle di specifiche caratteristiche ambientali che, nei termini vantati ed evocati, questi non possiedono». Le diciture riportate, infatti, «lasciano intendere ai consumatori, contrariamente al vero, che il prodotto reclamizzato abbia una caratteristica di piena compatibilità ambientale che non gli appartiene – dal momento che nessuna produzione umana può essere definita senza impatto ambientale».

Con una più risalente decisione, la n. 20559 del 2009, anche l’Acqua Minerale San Benedetto S.p.A. è stata sanzionata dall’Autorità, secondo la quale «non risulta che il professionista abbia proceduto ad effettuare studi e/o relazioni idonee a dimostrare e/o certificare la veridicità e attendibilità» dell’affermazione “- Plastica + Natura” che accompagnava le bottiglia in plastica presentata come “eco friendly”.

Dalla rassegna dei casi sopra ricordati emerge con evidenza quanto gli ordinamenti siano attenti ed interessati a sanzionare qualsivoglia condotta scorretta, o anche soltanto imprecisa, posta in essere da parte delle aziende produttrici e distributrici, soprattutto quando coinvolte nel consumo di massa. Di conseguenza, anche per quest’ultime il livello di attenzione, specialmente con riguardo alle strategie di marketing e comunicative, dovrebbe aumentare sempre di più, al fine, da un lato, di fornire informazioni corrispondenti alla realtà dei fatti e, dall’altro, di evitare sanzioni che possono raggiungere anche somme rilevanti.