The present website uses tracking cookies to collect information about user activity and improve user experience.
To learn more on this topic, read the Privacy Policy and the Cookie Policy.
Click I ACCEPT to continue with Cookies or I DECLINE to continue anonymously

24
12
18

BACK SHARE

Influencer e diritto della proprietà intellettuale

Un uso consapevole dei social media non può prescindere dal tenere in considerazione la possibilità – peraltro piuttosto frequente – di pregiudicare gli altrui diritti d’autore e di proprietà intellettuale. Tale invito è rivolto tanto al pubblico medio degli utilizzatori delle varie piattaforme digitali che tutti conosciamo quanto, a maggior ragione, a quella più ristretta cerchia di soggetti (i c.d. influencers) che, costruendosi un’immagine ed una reputazione tra il pubblico dei social, sono in grado di sfruttare la notorietà da loro acquisita a fini commerciali e, in tal modo, creare una vera e propria realtà imprenditoriale.

 

Esaminiamo dunque, in questo breve articolo, gli strumenti giuridici a tutela degli influencers nonché i problemi in cui gli stessi, trovandosi spesso ad usare inconsapevolmente i social media, possono incorrere, con particolare riferimento alla violazione degli altrui diritti su marchi registrati.

 

Come è noto, la professione di influencer consiste essenzialmente nella creazione di contenuti digitali online, siano essi foto, post, stories o video, attraverso i quali prodotti e servizi di un determinato brand vengono sponsorizzati e pubblicizzati, “indirizzando” le preferenze di un numero considerevole di utenti, che, da semplici followers, diventano potenziali consumatori. L’immagine e la popolarità dell’influencer, insieme al contenuto digitale riconducibile allo stesso influencer, contribuiscono così a diffondere e rafforzare il marchio altrui, anche attraverso processi di product placement.

 

Ciò avviene, molto spesso, sulla base di un rapporto di natura contrattuale tra impresa e influencer (ad es. contratti di sponsorizzazione). Sarà, quindi, necessario prestare particolare attenzione all’oggetto di tale contratto, soprattutto al fine di individuare i limiti entro i quali la titolarità dei diritti sui contenuti commissionati dal brand sia da attribuirsi al “creatore” ovvero al committente del contenuto. Infatti, qualora non si sia stipulato un apposito accordo che regoli e disciplini la detta titolarità, risulterà applicabile la disciplina del diritto d’autore, in base alla quale l’ideatore dell’opera (di qualsiasi natura si tratti) può vantare diritti di utilizzazione esclusiva sin dal momento in cui l’opera stessa è stata creata.

 

Foto e video creati dal digital content creator (DCC), in quanto “sequenze di immagini in movimento” e “foto semplici” ai sensi degli artt. 78 ter e 87 Legge n. 633/1941 (c.d. Legge sul Diritto d’Autore) sono, senza dubbio, da considerarsi coperte dalla disciplina del copyright.

 

Quanto sopra è stato ribadito, anche recentemente, dalla giurisprudenza di merito, la quale ha affermato che il contenuto digitale creato dall’utente di un social network è tutelato dal diritto d’autore; con la conseguenza che esso non può essere arbitrariamente utilizzato, condiviso, modificato o distribuito senza che l’autore abbia dato una preventiva autorizzazione o senza che vi sia una esplicita attribuzione di paternità.

 

Appare, dunque, quanto mai chiaro perché la predisposizione di specifiche clausole in materia di proprietà intellettuale si renda necessaria per delineare concretamente i diritti di sfruttamento economico dei contenuti creati dall’influencer.

 

L’influencer, tuttavia, oltre a essere titolare di diritti d’autore sul contenuto di sua creazione – diritti che nascono nel momento stesso in cui è stato prodotto tale contenuto, senza necessità di adempimento alcuno  – può avere, altresì, interesse ad acquisire anche la titolarità di diritti per la cui costituzione si rendono invece necessari, al contrario di quanto accade per quelli menzionati precedentemente, ulteriori adempimenti attivi: è il caso, ad esempio, dei diritti di privativa su marchi e nomi a dominio.

 

Posto che l’influencer, al pari di qualsiasi brand, diviene riconoscibile ai suoi followers, agli utenti dei social network e ai brand attraverso i propri segni distintivi (i.e. nome o pseudonimo), appare strategicamente conveniente registrare il proprio nome o pseudonimo come marchio presso gli Uffici competenti.

 

La registrazione del proprio nome, infatti, non solo rappresenta un investimento e un vantaggio competitivo irrinunciabile, ma conferisce anche al titolare del segno diritti esclusivi di utilizzo, dando la possibilità di avviare azioni difensive rapide ed economiche avverso chiunque tenti di registrare marchi identici e/o confondibilmente simili ai propri direttamente avanti agli Uffici Marchi competenti (si pensi, ad esempio, alle procedure di opposizione).

 

Contestualmente alla registrazione del proprio marchio è, poi, opportuno procedere anche alla registrazione del corrispondente nome a dominio nei registri di interesse. Così come il marchio, infatti, anche il nome a dominio rappresenta un punto di riferimento per gli utenti del web.

 

Avendo, seppur brevemente, accennato agli strumenti giuridici atti a tutelare l’influencer, possiamo adesso passare ad analizzare quali siano, tra le condotte poste in essere dagli influencer, quelle che più frequentemente violano i diritti di proprietà intellettuale altrui.

 

Senza dubbio, sul punto viene in mente – in primo luogo – l’ipotesi in cui l’influencer pubblicizzi determinati prodotti tramite una fotografia nella quale compaiano, in piena evidenza, anche marchi ulteriori rispetto a quelli oggetto di sponsorizzazione (ossia quelli oggetto di un contratto tra il titolare del marchio sponsorizzato e l’influencer). In una simile evenienza, tenendo a mente che i prodotti da sponsorizzare sono pubblicizzati mediante il loro inserimento in contesti di normale vita quotidiana, ci si rende conto di come la possibilità che si verifichi un rischio di confusione, per il pubblico dei consumatori e per i “seguaci” virtuali dell’influencer, relativamente alla provenienza di determinati beni o servizi assuma una preoccupante concretezza; con la conseguenza, quindi, di poter qualificare come illecito, ex art. 20 del codice della proprietà industriale, un tale uso di segni o marchi fatto, appunto, senza il preventivo consenso del soggetto che ne abbia la titolarità.

 

In secondo luogo, un’ulteriore ipotesi in cui l’attività degli influencer sui social media può interferire con i diritti di privativa altrui è rappresentata dall’uso – non autorizzato – dei c.d. hashtag, ossia di quelle parole chiave aventi la funzione di attirare la visualizzazione da parte del pubblico dei contenuti sui quali tali hashtag vengano apposti, canalizzando l’attenzione dello stesso pubblico grazie ad un determinato trend topic. A tal proposito bisogna tenere a mente che, ai sensi dell’art. 7 del codice della proprietà industriale, possono costituire oggetto di protezione come marchio registrato “tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente […] compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre…”; ciò porta con sé la conseguenza che, nel caso in cui oggetto di protezione sia una determinata parola, lettera o combinazione di queste, l’uso delle stesse precedute dall’hashtag e nel contesto di un messaggio di natura pubblicitaria potrà costituire violazione dei diritti del titolare del marchio registrato rivendicante protezione sul segno (ossia sulla parola, lettera o combinazione di queste) illecitamente riprodotto come hashtag.

 

È, infine, necessario evidenziare che uno degli ulteriori rischi cui l’influencer può andare incontro è quello di porre in essere forme di pubblicità occulta. A tal proposito l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato si è pronunciata una prima volta nel 2017, invitando gli operatori coinvolti a vario titolo nel fenomeno dell’influencer marketing a conformarsi alle disposizioni del Codice del Consumo, nonché fornendo indicazioni circa la natura pubblicitaria di un contenuto realizzato in esecuzione di un accordo commerciale. Successivamente, nel 2018, la stessa Autorità è intervenuta con una seconda moral suasion, richiamando anche gli influencer con un numero meno elevato di followers, i quali sono anch’essi, comunque, tenuti a rendere riconoscibile l’intento promozionale dei contenuti diffusi tramite social media (inserendo apposite avvertenze come #pubblicità, #sponsorizzato, #advertising, #inserzioneapagamento).

 

Anche nell’ambito dell’attività di influencer, vale, quindi, senz’altro la pena rivolgersi ad uno studio legale qualificato per difendere i propri diritti di proprietà intellettuale, sia mediante la redazione di contratti ad hoc sia mediante il deposito di una o più domande di marchio avanti agli Uffici competenti.