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Shiseido v. Amazon: i sistemi di distribuzione selettiva e le vendite online

di Giulia Pezzera

 

Il tema della distribuzione selettiva ha assunto un ruolo centrale nella tutela dei marchi, con particolare riferimento ai marchi di lusso.

 

È evidente che la reputazione di un marchio si manifesti anche tramite i canali di distribuzione utilizzati. Di conseguenza, i titolari dei marchi adottano sistemi di distribuzione che consentono di limitare la commercializzazione dei propri prodotti esclusivamente a quei rivenditori che siano stati preventivamente ammessi alla rete distributiva.

 

Tali sistemi, tuttavia, rischiano di pregiudicare la libera concorrenza. Da un lato, infatti, pongono degli ostacoli all’accesso al mercato ad alcune categorie di rivenditori, dall’altro limitano il bacino di clientela per i distributori ammessi al network autorizzato, che potranno rivendere i prodotti esclusivamente ai consumatori finali o agli altri appartenenti alla rete distributiva. Si è dunque reso necessario un contemperamento delle diverse esigenze, che ha condotto la giurisprudenza europea a subordinare la liceità dei sistemi di distribuzione selettiva ad alcuni requisiti, definiti “criteri Metro”, dal nome della società protagonista di una delle prime vicende oggetto di pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in argomento (CGUE 25-10-1977, Metro SB-Großmärkte GmbH & Co. KG contro Commissione delle Comunità europee, Causa 26/76). Secondo tali requisiti, i sistemi di distribuzione selettiva non ricadono nell’ambito dei divieti derivanti dall’art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) qualora siano giustificati dalla natura dei prodotti oggetto di vendita (in particolare i prodotti di lusso o di alta tecnologia), siano adottati criteri di accesso oggettivi ed applicati in modo non discriminatorio e, al contempo, sia garantita la proporzionalità rispetto agli obiettivi perseguiti, adottando restrizioni che non vadano oltre il limite del necessario.

 

La violazione di un sistema di distribuzione selettiva è in grado di integrare uno dei “motivi legittimi” previsti all’art. 5 comma 2 c.p.i., che costituiscono una deroga al verificarsi dell’esaurimento del marchio, qualora tale violazione determini un danno al prestigio del marchio stesso. Ne consegue che il titolare potrà opporsi alla commercializzazione dei prodotti anche a seguito dell’immissione in commercio all’interno del territorio dell’Unione Europea.

 

In giurisprudenza si ritiene, in particolare, che tale pregiudizio si verifichi, ad esempio, qualora il distributore terzo non sia dotato di locali ritenuti adeguati, quando i prodotti recanti il marchio cui ci si riferisce siano esposti insieme a prodotti di diversa natura e di minor valore economico o qualora non siano garantiti adeguati servizi di assistenza pre e post vendita.

 

Tale impostazione, formatasi in relazione ai punti vendita tradizionali, può essere calata anche nell’ambito della vendita online, mantenendo le medesime finalità, ma assumendo – com’è ovvio – connotazioni diverse, dettate dalla particolarità di questo tipo di commercio.

 

È noto infatti che la vendita online ha assunto, in questo periodo storico, un ruolo fondamentale, rafforzato dalla presente situazione pandemica, durante la quale l’utilizzo dei servizi di e-commerce è notevolmente aumentato.  

 

Su tali questioni si è recentemente pronunciato, con ordinanza del 19 ottobre 2020, il Tribunale di Milano, nell’ambito del procedimento cautelare instaurato da Beauté Prestige International S.A., Shiseido Europe S.A. e Shiseido Italy S.p.A. (“Shiseido”) nei confronti di Amazon Europe Core S.a.r.l., Amazon EU S.a.r.l. e Amazon Services Europe S.a.r.l (“Amazon”).

 

Le ricorrenti, licenziatarie esclusive dei marchi “Narciso Rodriguez”, “Issey Miyake”, “Elie Saab”, “Dolce e Gabbana” e “Zadig & Voltaire”, hanno proposto procedimento urgente ante causam nei confronti di Amazon “per l’indebita promozione e offerta in vendita dei prodotti recanti i marchi di titolarità delle ricorrenti attraverso l’omonima piattaforma di e-commerce”. Le resistenti, che – si precisa – sono estranee al sistema di distribuzione selettiva adottato da Shiseido, non garantirebbero, secondo le ricorrenti, il rispetto dei requisiti necessari a salvaguardare il prestigio dei propri marchi, con conseguente danno alla relativa reputazione e notorietà.

 

Il Tribunale ha, anzitutto, richiamato la giurisprudenza comunitaria in tema di esaurimento del marchio e di sistemi di distribuzione selettiva, conformandosi a tali orientamenti. Dopodiché, l’attenzione è stata posta sul tema delle vendite online, confermando (anche in questo caso in linea con quanto già affermato dalla giurisprudenza europea) che, se da un lato sarebbe illegittimo un divieto assoluto alle vendite online (considerato una grave restrizione della concorrenza), dall’altro lato è lecito esigere il rispetto di alcuni standard qualitativi da parte del sito ove le vendite online sono poste in essere.

 

Si è, quindi, reso necessario valutare la questione sulla base di tre principali interrogativi: i) se i prodotti oggetto di lite potessero essere considerati articoli di lusso; ii) se il titolare dei marchi avesse predisposto un sistema di distribuzione selettiva valido; iii) se la vendita dei prodotti effettuata da Amazon tramite le proprie piattaforme potesse, effettivamente, arrecare un danno alla reputazione dei marchi.

 

Per quanto riguarda il primo aspetto, l’aura di prodotti di lusso è stata riconosciuta solamente nei confronti dei marchi “Narciso Rodriguez” e “Dolce e Gabbana”, facendo leva su alcuni indici tra cui la ricerca di materiali di alta qualità, la cura nel packaging, la presentazione al pubblico, l’accreditamento nel settore di riferimento ed il consolidato riconoscimento da parte della stampa specialistica. La valutazione successiva si è, quindi, limitata a questi due marchi.

 

Relativamente al secondo punto, il sistema di distribuzione selettiva di Shiseido è stato considerato adeguato a creare e mantenere un’immagine di lusso associata ai prodotti, sia per quanto riguarda i negozi “fisici” facenti parte del network distributivo, sia per quanto riguarda le vendite via Internet. Le ricorrenti, infatti, subordinano contrattualmente la possibilità di vendere i propri prodotti online ad una preventiva autorizzazione, che viene riconosciuta tenendo conto di alcuni criteri, in particolare la qualità grafica del sito, la predisposizione di una “zona di qualità dedicata”, la presenza di spazi dedicati ai prodotti di lusso e l’assenza di offerte in vendita di prodotti di diversa natura rispetto a quelli di profumeria e cosmetica.

 

Infine, per quanto riguarda il terzo punto, il Tribunale ha ritenuto che, in effetti, la vendita effettuata tramite Amazon leda gravemente il prestigio dei marchi “Narciso Rodriguez” e “Dolce e Gabbana”, accogliendo le doglianze avanzate dalle ricorrenti, a causa i) dell’assenza di negozi fisici che precluderebbe un idoneo servizio clienti in grado di informare il pubblico in modo adeguato; ii) dell’accostamento a prodotti eterogenei e di livello qualitativo non elevato; iii) della presenza di prodotti di altri brands, anche appartenenti a segmenti di mercato qualitativamente più bassi.

 

Il Tribunale ha quindi accolto – parzialmente – il ricorso, limitatamente ai marchi “Narciso Rodriguez” e “Dolce e Gabbana”, che, sulla base delle produzioni documentali, sono stati effettivamente ritenuti marchi di lusso, tali da subire un notevole danno al proprio prestigio a causa della vendita effettuata tramite Amazon.

 

Va peraltro specificato che, al fine di poter giungere a tali conclusioni, si è reso necessario considerare anche il ruolo attivamente svolto dalle resistenti. Infatti, la recente sentenza della Corte di Giustizia (Coty v. Amazon, C-576/18), ha escluso che gli operatori che si occupino della semplice attività di stoccaggio di prodotti che violano i diritti connessi ad un marchio siano responsabili di tale lesione. Il Tribunale – dopo aver specificato che la distinzione tra hosting provider attivo e passivo sia rilevante solo da un punto di vista risarcitorio e, dunque, non in sede cautelare – ha specificato che, nel caso concreto, non sembrerebbe che Amazon abbia rivestito un ruolo meramente passivo, considerato che i) ha talvolta operato quale venditore diretto dei prodotti oggetto di lite e ii) ha svolto un ruolo attivo quanto ai servizi di intermediazione (gestione dello stoccaggio, spedizione dei prodotti, gestione del servizio clienti, dell’attività promozionale). Tale ruolo, inoltre, è stato ritenuto in grado di determinare nei consumatori la convinzione dell’esistenza di un legame tra Amazon e Shiseido.

 

Tutto quanto sopra considerato, i giudici hanno quindi ritenuto che Amazon abbia svolto, nel caso di specie, il ruolo di hosting provider attivo, con la conseguenza che non possa essere esonerata dalla responsabilità di cui all’art. 16 del d.lgs. 70/2003, ossia – appunto – dalla responsabilità gravante su chi svolga attività di hosting.