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COSA RESTERÀ DI QUESTO EUROVISION 2023? TRA PRESUNTI PLAGI E ISTANZE DI TUTELA DEGLI ARTISTI

A due mesi dalla finale dell’evento che ogni anno calamita l’attenzione del pubblico – generalista e non – di tutto il Vecchio Continente (e, dal 2015, anche australiano), tenutosi a Liverpool, data l’impossibilità di ospitare la kermesse da parte dell’Ucraina, patria dei Kalush Orchestra, che avevano vinto l’edizione 2022 con la hit “Stefania”, quale è l’eredità della sessantasettesima edizione dell’Eurovision Song Contest?

 

Il tema che più ha incuriosito gli appassionati ha riguardato proprio la vincitrice, la cantante e cantautrice svedese Loreen, in grado di trionfare per ben due volte ad undici anni di distanza, nel 2012 con “Euphoria” e nel 2023 con “Tattoo”, e – in tal modo – di riportare la manifestazione in patria, proprio in occasione dell’anniversario della vittoria che ha lanciato gli Abba nel pantheon delle celebrità del mondo musicale. Sin dal primo ascolto, molti spettatori non hanno potuto evitare di notare alcune similarità di “Tattoo” proprio con una canzone della celebre band scandinava, “The winner takes it all”, oltre che con altri brani, forse meno conosciuti, fra cui “Flying Free” di Pont Aeri, “Skyline” di Amaranth, “Eternity” di Anyma e “Komodo” di Mauro Picotto. La somiglianza più evidente, tuttavia, è stata individuata dall’artista ucraina Mika Newton, con riferimento al proprio brano “V plenu”, proposto nell’edizione del 2011 dell’Eurovision Song Contest (ESC). In particolare, la somiglianza riguarderebbe la progressione che contraddistingue la parte del brano identificata come “bridge”, ossia la parte che precede il ritornello.

 

La comunità degli utenti eurovisivi ha sottolineato come la possibilità che una delle canzoni dell’Eurovision plagi un brano di un altro artista dovrebbe, almeno in teoria, essere esclusa dalla corretta applicazione della regolamentazione ufficiale elaborata dall’ESC. Infatti, l’articolo 2.2.2. del Regolamento ufficiale dichiara espressamente che ciascuna canzone in gara deve essere originale e non essere stata rilasciata o essere stata oggetto di una performance pubblica, anche parziale, prima della data dell’evento. Inoltre, qualsiasi accompagnamento vocale o campionatura strumentale deve essere previamente dichiarata e ricevere formale approvazione da parte della European Broadcasting Union (EBU), l’ente organizzatore dell’evento. Infatti, l’utilizzo di campioni di brani di terzi deve essere oggetto di appropriata licenza, la cui esistenza deve essere adeguatamente provata all’EBU da parte dell’artista in gara.

 

Il tema del plagio nell’industria musicale, come avevamo già evidenziato, risulta particolarmente complesso e legato a doppio filo ad una serie di fattori che, a seconda della prassi seguita dall’autorità chiamata ad accertarne, o meno, l’esistenza, risultano variabili. La sempre crescente attenzione del pubblico verso tale tipologia di violazione del diritto d’autore, tuttavia, è una circostanza certamente in grado di rincuorare gli addetti ai lavori, essendo indice di un alto livello di attenzione alle tematiche che si pongono “nel backstage” rispetto alla performance.

 

Anche la concorrente di origini liguri Alessandra Mele, in gara per la Norvegia con la canzone “Queen of Kings”, è stata oggetto di accuse di plagio e, addirittura, è stata lanciata una petizione sul sito change.org per richiedere alla Norwegian Broadcasting Corporation (NRK) di investigare le presunte somiglianze tra “Queen of Kings” e le canzoni “Run To The Hills” di Klara Hammarstrom e “Ship We Sail” di Paddy and the Rats. Tale istanza non ha, però, superato le settantasette firme.

 

Inoltre, anche la cantante Shibui, tramite i propri canali social, ha sollevato lamentele nei confronti della portabandiera norvegese, sottolineando le similarità della melodia con il brano “Thunder”, brano del dj Gabry Ponte di cui Shibui interpreta le parti vocali. La questione si è tuttavia, conclusa in maniera amichevole, considerato che, soltanto un paio di settimane fa, è stato pubblicato sulla piattaforma YouTube il remix del brano “Queen of Kings”, tra i produttori del quale è indicato lo stesso Gabry Ponte.

 

Proprio il palco dell’Eurovision è stato, inoltre, teatro di una critica sottile, ma certamente ben mirata, all’industria musicale, da parte del duo austriaco Teya e Salena, in gara con il brano “Who the hell is Edgar?”. Durante l’esibizione del duo austriaco, infatti, è comparso, alle spalle delle cantanti, il numero 0.003. A cosa si riferisce?

Il riferimento è all’ammontare di 0.003 dollari, ossia la royalty che l’artista riceve per ciascuno stream che la propria canzone raccoglie sulla piattaforma Spotify, secondo un report datato 2020. Peraltro, pare che i pagamenti non avvengano moltiplicando tale royalty per la quantità di streaming ottenuti dal brano, ma dipendano, invece, dal cosiddetto “streamshare”, ossia dalle differenti modalità di ascolto degli utenti e dagli specifici accordi presi da Spotify con ciascun licenziante. Teya ha commentato le ipotesi del pubblico in un’intervista concessa alla BBC prima della finale, affermando come “Le persone che non sono parte dell’industria [musicale, ndr] non hanno mai sentito parlare di quanto si ottenga da Spotify. Quindi il fatto che abbiano veramente iniziato ad analizzare [il pezzo, ndr] è stato incredibile. Noi speriamo soltanto di lasciare un piccolo impatto”.

Il pubblico degli ascoltatori, appassionatosi al tema a seguito della famosa disputa fra Taylor Swift e la Big Machine Records sui diritti relativi agli album che la stessa aveva ceduto in un contratto firmato quando non aveva ancora raggiunto la maggiore età, pare essere diventato molto più recettivo alle istanze dei creativi rispetto ai tempi passati. Il magmatico momento attuale, dunque, sembra essere il migliore possibile per una decisa virata nelle strategie di tutela dei giovani parolieri e compositori, troppo spesso lasciati soli o in balia di agenti maggiormente interessati a finalizzare i contratti con le case discografiche nel “qui ed ora” piuttosto che a pensare alla tutela dei propri assistiti nel medio-lungo periodo. L’auspicio è la crescita, non solo di una nuova generazione di artisti in grado di lottare per la tutela dei propri diritti, ma anche di una nuova legione di professionisti forniti delle conoscenze e delle competenze necessarie per sviluppare, nel futuro, l’intera industria musicale.