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LA TUTELA DEI DIRITTI DEGLI AUTORI NEL 2025 E IL RUOLO DEL DIRITTO VIVENTE
di Beatrice Marone
Lo scorso 23 aprile si è celebrata la Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d’Autore, calendarizzata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) nel 1995. La data scelta deriva da un’occasione non lieta: gli anniversari della morte di numerosi illustri scrittori, tra cui Miguel de Cervantes e William Shakespeare, i quali sono persino periti nello stesso anno, il 1616. Nel trentesimo anno della ricorrenza, è quantomai essenziale fornire una panoramica di come il diritto d’autore stia affrontando le ultime sfide – in particolare quelle nate dal progresso tecnologico – e come le modalità di tutela debbano necessariamente essere aggiornate per rimanere in linea con i tempi. Tale aggiornamento non può prescindere dal coinvolgimento del diritto e dei professionisti del settore. Come si ricorderà, infatti, sono attualmente pendenti molteplici procedimenti che contrappongono, da un lato, gli autori, e, dall’altro, i produttori di sistemi di Intelligenza Artificiale.
 
Nel contesto delle numerose azioni che hanno visto chiamata dinanzi alle corti, nel ruolo di convenuta, l’ormai celeberrima OpenAI, è necessario ricordare che, lo scorso 4 aprile, il collegio formato dai giudici Caldwell, Gorton, Benitez, Cox Arleo, Kennelly e Kimball ha ordinato il trasferimento al Distretto Sud di New York dei procedimenti proposti da Tremblay, Silverman, Chabon e Millette dinanzi al Distretto Nord della California. Inoltre, il collegio ha disposto il consolidamento, ad opera del giudice Sidney H. Stein, dei casi già pendenti dinanzi alla suddetta corte. Nello specifico, si tratta delle azioni legali proposte nei confronti di OpenAI da Authors Guild, Alter, Raw Story Media Inc., The Intercept Media Inc. e The Center for Investigative Reporting Inc.. In aggiunta a quelle appena citate, sono state incluse nel provvedimento anche le azioni dirette da The New York Times Company, Basbanes e Daily News LP nei confronti di Microsoft Corporation.
 
Tale decisione emerge all’esito di una mozione tramite la quale OpenAI ha richiesto il trasferimento di tutti i procedimenti in cui le società del gruppo sono coinvolte dinanzi al Distretto Nord della California. Alcuni degli attori si sono opposti alla centralizzazione, evidenziando due principali categorie all’interno delle quali gli stessi le azioni legali potrebbero efficacemente essere catalogate. Da un lato, infatti, vi sono le class actions proposte da autori di romanzi (nella maggior parte) e di saggi (per la parte restante), i quali sostengono la violazione dei propri diritti d’autore derivante dal fatto che i convenuti abbiano usato le proprie opere quali input per l’allenamento dei sistemi. Dall’altro, invece, le testate giornalistiche affermano la violazione dei diritti di propria titolarità sugli articoli sia nella fase di input appena citata sia anche con riferimento all’output fornito dal sistema. Quest’ultima circostanza, in particolare, si riferisce al fatto che i sistemi proposti sul mercato dai convenuti siano in grado di fornire riassunti dettagliati del contenuto delle notizie, in alcuni casi riportando parola per parola porzioni di testo degli articoli comparsi nelle suddette testate. Inoltre, con riferimento al procedimento Millette, è stato evidenziato come lo stesso costituisca un unicum nel panorama appena descritto, dato che le opere sulle quali i diritti d’autore sarebbero stati violati non sono testi, bensì trascrizioni di video caricati sulla piattaforma YouTube da vari content creators. Infine, nei casi proposti da Raw Story Media e The Intercept, gli attori non hanno inteso basare le proprie richieste sulla violazione del Copyright Act, bensì del Digital Millennium Copyright Act (DMCA): nello specifico, viene fatto riferimento alla previsione secondo cui è proibito rimuovere da un’opera le informazioni relative al copyright, tra cui nome dell’autore, titolo, riferimento di copyright e condizioni generali d’uso.  
 
Secondo la prospettiva del collegio, non è infrequente che la corte scelta per il trasferimento di una molteplicità di procedimenti istituisca percorsi separati a seconda delle caratteristiche precipue di ciascun caso. Tuttavia, i procedimenti condividono richieste fattuali derivanti dalle presunte violazioni della normativa copyright da parte dei convenuti, ossia Microsoft e OpenAI. Secondo la ricostruzione fornita dagli attori, tali società avrebbero utilizzato opere tutelate dal diritto d’autore al fine di allenare i propri Large Language Models, in particolare, GPT-4, alla base sia di ChatGPT fornita dalla prima sia di Bing Chat (ora Copilot) proposta dalla seconda. Ciò sarebbe avvenuto senza previo ottenimento di alcun tipo di consenso dai titolari di tali diritti né versamento agli stessi di alcun tipo di corrispettivo.
 
Il collegio afferma, inoltre, che in ciascun procedimento sarà necessaria un’enorme fase di discovery rispetto alle modalità con cui i convenuti hanno progettato e allenato i propri LLMs. Inoltre, occorre tenere in considerazione che, trovandosi dinanzi ai medesimi due convenuti per dodici azioni, è ben concreto il rischio di appesantire il procedimento con inutili duplicazioni, rischio esacerbato anche dal fatto che la citata tecnologia ha una natura nuova e complessa. Da tale ultimo elemento, in particolare, emerge la concreta possibilità che, al fine di far fronte a tale compito, siano nominati i medesimi esperti. Di conseguenza, il trasferimento e la centralizzazione dinanzi alla stessa corte ha l’obiettivo di eliminare, in primis, moltiplicazioni nella fase di discovery e, successivamente, di evitare incoerenze nelle decisioni anche nelle fasi in itinere di ciascun procedimento.
 
Ulteriori ragioni di economia processuale indicate dagli attori che oppongono la centralizzazione non sono state accolte dal collegio, il quale ha sottolineato come ciascun procedimento necessiti, da un lato, dell’intervento di numerosi testimoni e, dall’altro, di uno spirito maggiormente collaborativo fra le parti, che potrà essere guidato dal giudice Stein, il quale attualmente presiede sei delle otto azioni già incardinate a New York.
 
Mentre sarà interessante notare quale impatto il trasferimento e la centralizzazione di un numero consistente di procedimenti avrà sulla questione nei prossimi mesi, è degno di nota ricordare come il cognome con il quale una delle class actions viene indicata è quello dell’attrice e scrittrice Sarah Silverman, personalità che risulta essere parte anche di un’altra azione legale diretta nei confronti, questa volta, della multinazionale di Mark Zuckerberg. In Kadrey vs. Meta, attualmente pendente proprio dinanzi a quel Distretto Nord della California a cui sono stati “sottratti” quattro dei procedimenti citati nei paragrafi precedenti, gli attori pongono questioni simili a quelle appena descritte. In particolare, non soltanto vi sarebbe violazione dei diritti d’autore tramite l’utilizzo di opere tutelate da copyright per l’allenamento del sistema Llama AI, ma anche l’eliminazione delle informazioni relative alla privativa registrata proprio allo scopo di celare la violazione stessa.
 
Meta ha formulato una mozione di rigetto dell’azione che, lo scorso 7 marzo, è stata accolta soltanto parzialmente dal giudice Chhabria. Nello specifico, è proprio la base giuridica identificata nel Digital Millennium Copyright Act quella sulla base di cui l’azione potrà proseguire il proprio iter, secondo la prospettiva del giudice competente. Infatti, questi ritiene che, sebbene lo specifico diritto creato dal testo normativo sia “comparativamente nuovo”, la rimozione delle informazioni necessarie alla gestione del copyright dai testi costituisce interferenza con un diritto di proprietà. Diritto di proprietà che risulta strettamente connesso alla tipologia di danno secondo la consuetudine e la giurisprudenza azionabile in sede di tutela copyright. Di conseguenza, tale condotta costituisce, già in sé, un danno. Ancor più rilevante è il fatto che, secondo la ricostruzione degli attori, tale condotta sia stata posta in essere ai fini di nascondere la concreta violazione dei diritti d’autore perpetrata dal convenuto, foriera di un danno diverso e ulteriore rispetto a quello appena menzionato.
 
A nulla sono valse le controdeduzioni di Meta, secondo la quale il Digital Millennium Copyright Act tutelerebbe interessi differenti rispetto al diritto d’autore tradizionale. Da ricordare è il fatto che tale testo normativo è stato approvato a livello federale nel 1998, al fine di affrontare temi complessi relativi alla relazione fra il diritto d’autore e lo sviluppo della rete internet. In particolare, tramite tale norma si stabilivano tutele per i provider di servizi online nel caso in cui gli utenti ponessero in atto, tramite gli stessi, condotte atte a violare i diritti d’autore di terzi. Inoltre, con l’ingresso di tale testo nel panorama legislativo statunitense, si è inteso incoraggiare i titolari di diritti d’autore a fornire maggiore accesso alle proprie opere in formato digitale, tramite la previsione di strumenti di tutela efficaci, tra cui la crittografia, al fine di evitare accessi non autorizzati.
 
Il giudice sottolinea che gli attori non sono stati (ancora) in grado di sostenere efficacemente che la rimozione delle informazioni abbia reso più semplice la violazione dei diritti d’autore. Tuttavia, egli ritiene che sia stato provato in maniera adeguata che la rimozione sia stata effettuata da Meta in maniera intenzionale. Si citano le argomentazioni degli attori, secondo cui Meta sarebbe stata cosciente della predisposizione di Llama a memorizzare e generare risultati contenenti le informazioni sul copyright, a meno che le stesse fossero rimosse dai dati su cui il sistema veniva allenato. Inoltre, viene ricordata anche l’ulteriore dichiarazione degli attori secondo cui Meta avrebbe condotto una serie di iniziative al fine di ridurre il rischio che i risultati generati da Llama rivelassero o indicassero che il materiale tutelato da copyright era stato incluso nel dataset di allenamento. Di conseguenza, il giudice ha ritenuto tali argomenti “un’inferenza ragionevole, anche se non particolarmente forte” del fatto che Meta abbia rimosso le informazioni sulla gestione del copyright cercando di evitare che Llama le producesse nei propri risultati e, in questo modo, rivelasse la natura dei dati su cui lo stesso era stato allenato, ossia opere coperte dal diritto d’autore.
La prospettiva degli autori pare essere condivisa nelle iniziative che, sia a livello legislativo sia a livello giurisprudenziale, sono attualmente condotte da musicisti e cantautori. L’obiettivo non è quello di escludere totalmente l’Intelligenza Artificiale dal reame delle professioni creative, bensì regolamentarne l’utilizzo al fine di ottenere un livello di tutela che continui ad essere efficiente. La volontà è quella di garantire non soltanto l’esistenza della tutela, bensì l’azionabilità della stessa nei casi concreti, evitando che un sistema anacronistico sia d’ostacolo al reale esercizio dei diritti. In particolare, l’obiettivo pare essere quello di bloccare l’utilizzo indebito del materiale coperto da copyright da parte delle multinazionali del settore tech senza un accordo atto a disciplinare precisamente il consenso e a garantire un corrispettivo equo ai titolari.
