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TRA ETICA ED ESTETICA: LA TUTELA DEI DIRITTI DEI COREOGRAFI SOTTO I RIFLETTORI CON “ABRACADABRA”

di Beatrice Marone

Lo scorso 3 febbraio, durante la cerimonia dei Grammy Awards, il pubblico ha visto e ascoltato per la prima volta “Abracadabra”, terzo singolo estratto dal settimo album in studio di Lady Gaga, “Mayhem”, pubblicato il 7 marzo. La sensazione è stata immediatamente quella di essere di fronte ad un nuovo capitolo della storia non soltanto musicale, ma anche culturale e sociale, scritta da Stefani Germanotta. Le sonorità del brano, ma anche gli elementi visivi del videoclip, hanno risvegliato nei fan i ricordi delle varie tappe del percorso artistico di Gaga, in particolare le caratteristiche dei primi successi dell’artista e l’aura del “dark pop”, locuzione che è stata utilizzata in molteplici occasioni per descriverne lo stile. Tuttavia, nei più di quindici anni di carriera dell’artista, molto è cambiato.

Tra le novità più evidenti, spicca l’identità dell’autrice della coreografia di “Abracadabra”, nonché regista del videoclip che ha spopolato online: si tratta di Parris Goebel, coreografa neozelandese nel cui curriculum spiccano collaborazioni con Rihanna e Justin Bieber. Il videoclip, peraltro, non è stato realizzato esclusivamente come veicolo audiovisuale del brano, ma come prodotto all’interno di una campagna promozionale elaborata dall’artista e dalla sua etichetta, Interscope Records, con Mastercard. In tale contesto, infatti, la società ha invitato i fan a ricreare i movimenti della coreografia sulle piattaforme Instagram e TikTok con l’hashtag #MastercardGagaContest per avere l’opportunità di ottenere premi, fra cui anche il coinvolgimento in una versione del videoclip dove i quaranta ballerini sono sostituiti da persone comuni. Peraltro, la strategia di marketing non pare fermarsi al gioco a premi, ma include anche esperienze con l’unico scopo del ritorno di immagine, come accaduto ad un gruppo di partecipanti ad una lezione di ballo a tema “Abracadabra” che sono stati sorpresi proprio da Lady Gaga e hanno avuto la possibilità di ballare con lei sulle note del nuovo singolo.

Tuttavia, una voce fuori dal coro si è fatta notare. Richard Jackson, che ha curato le coreografie dell’artista dagli esordi nel 2008 sino al 2020, ha affidato ad Instagram una serie di pensieri che hanno sorpreso i fan. In particolare, quando è emersa la notizia che la coreografia di “Abracadabra” portava la firma di Goebel, è stato chiaro che il rumor da tempo in circolazione nell’ambiente musicale aveva fondamento, ossia che il sodalizio artistico di Gaga e di Jackson era giunto al capolinea. Tuttavia, non ci si attendeva una reazione di questo tenore. Jackson, infatti, afferma di non comprendere come i propri passi siano stati inclusi nella coreografia di Goebel: in particolare, cita passi e “momenti” che, secondo la sua opinione, derivano da coreografie dallo stesso create da anni fa per hit come “Bad Romance”, “Bloody Mary”, “Poker Face” e “Alejandro”. Jackson continua affermando che non ci sia stato consenso, corrispettivo o, specialmente, credits, rendendo, dunque, ben chiaro quale sia il cuore della vicenda. Oltre a quanto già riportato, chiede anche che ogni volta che “Abracadabra” sia oggetto di una performance, siano eliminati gli elementi derivanti dalle proprie coreografie. Jackson sostiene di non avere cattive intenzioni o volontà di creare negatività, ma di affrontare il tema nell’interesse di tutti i coreografi.

 

Tale diatriba, che si è estesa tanto dal condurre Jackson a rendere privato il proprio account su Instagram, fornisce uno spunto interessante per verificare in che modo la coreografia alla base di una performance artistica possa – o meno – essere tutelata tramite il diritto d’autore. Occorre, in tal senso, ricordare che la sezione 102(a)(4) del Copyright Act statunitense prevede la tutela per pantomime e opere coreografiche create successivamente al 1° gennaio 1978 e fissate in un mezzo di espressione tangibile. Occorre porre in risalto il fatto che, in ogni caso, tale tutela riguarda i diritti di sfruttamento economico, ossia la possibilità di sottoscrivere accordi di licenza, e non i diritti morali, che non risultano tutelati, per i coreografi, nel sistema statunitense.

Si definisce la coreografia come una composizione di una serie di movimenti di danza e motivi organizzati in un insieme coerente. Secondo le linee guida dello stesso Ufficio Copyright statunitense, l’opera coreografica può contenere movimenti ritmici di uno o più ballerini in una sequenza e in un contesto spaziale definito, ma anche una serie di movimenti di danza organizzati in una composizione espressiva integrata e coerente, oppure una storia veicolata tramite il movimento, una presentazione dinanzi ad un pubblico, una performance resa da individui esperti, fino ad un accompagnamento musicale o testuale. Con riferimento al requisito di fissazione in un mezzo di espressione tangibile, si precisa che i movimenti devono essere resi con un grado di dettaglio tale da consentire che gli stessi siano oggetto di una performance in maniera coerente e uniforme. I mezzi individuati possono essere, a titolo di esempio, videoregistrazioni, ma anche descrizioni testuali, fotografie e disegni.

Tuttavia, occorre precisare che alcune categorie di movimenti, nonostante la propria unicità, non possono essere oggetto di tutela da parte del diritto d’autore. Tra di essi sono inclusi i gesti individuali e i singoli passi di danza, con la conseguenza che l’Ufficio non è in grado di fornire tutela a brevi routines che includano esclusivamente pochi movimenti o passi con lievi variazioni spaziali o temporali, anche se la routine presenta le caratteristiche di novità o originalità. Allo stesso modo, sono esclusi dalla tutela una serie di passi appartenenti a quelle che sono identificate come “danze sociali”, tra cui la quadriglia e la line dance, lo swing, il folk e il ballo da sala. Allo stesso modo, non rientrano nel perimetro della tutela le attività motorie ordinarie.

Di conseguenza, da un lato, occorre verificare che i movimenti che Jackson identifica come propri non possano considerarsi parte delle tipologie appena descritte. Inoltre, occorre ricordare come il requisito dell’originalità al fine dell’ottenimento della tutela del diritto d’autore è oggetto di un test che include, da un lato, novità e, dall’altro, un livello minimo di creatività. Per completezza, si segnala che tale ultimo requisito corrisponde ad una semplice scintilla creativa che, secondo una decisione risalente agli anni ’90 che funge da precedente nel mondo statunitense, non importa sia rudimentale, umile od ovvia. Occorre ricordare che i movimenti individuali e i passi non sono tutelabili tramite diritto d’autore in sé, bensì soltanto come parte di una coreografia che costituisce un insieme proteggibile. Peraltro, escludere una coreografia dalla tutela soltanto perché il coreografo è fedele alla scuola che l’ha formato condurrebbe ad un ingiustificato irrigidimento delle categorie.

Inoltre, anche nel panorama della danza ottiene sempre maggior rilievo il tema dell’opera derivata. Una coreografia derivata risulta, infatti, essere un’opera basata su o derivata da una o più opere preesistenti, indipendentemente dal fatto che l’opera preesistente sia essa stessa una coreografia, una pantomima o qualsiasi altra opera tutelata in conformità alle previsioni della sezione 102(a) del Copyright Act. In linea generale, una coreografia derivata risulta essere una nuova versione di una coreografia preesistente oppure un’opera completamente nuova che combina una parte preesistente con una quantità sostanziale di “nuovo materiale”. Al fine di ottenere la registrazione dinanzi all’Ufficio Copyright statunitense, è necessario che il citato nuovo materiale sia creato in maniera indipendente e sia, in esso, rilevabile un ammontare di creatività sufficiente.

Pare che l’opera composta per “Abracadabra” possa effettivamente rientrare in tale categoria, se si considera che, al fine di mantenere una certa coerenza nel percorso dell’artista, è plausibile che alcuni elementi di coreografie precedenti siano incorporati nell’insieme oggetto di pianificazione e “montaggio” da parte del nuovo coreografo. Peraltro, alcuni colleghi di Jackson hanno confutato le richieste dello stesso proprio basandosi su tale premessa: a titolo di esempio, Brian Friedman, coreografo di artiste quali Beyoncé, Mariah Carey e Cher, ha commentato la vicenda affermando che è possibile individuare singoli movimenti e trovare somiglianze dappertutto, sino a sottolineare che uno specifico movimento indicato da Jackson deriva, in realtà, dalla propria coreografia per “I’m a Slave 4 U” di Britney Spears. Friedman ha concluso scrivendo che “se giochiamo quel gioco, sono semplicemente onorato per il riferimento”, ossia per l’utilizzo del proprio movimento in una coreografia elaborata da un collega.

 

La vicenda apre, quindi, alcuni spunti di riflessione legati all’immagine degli artisti, in particolare nel mondo musicale. Jackson afferma esplicitamente che “l’estetica Gaga è la mia estetica, il mio movimento, nato dalla mia mente e dal mio corpo” e, in conseguenza, di ciò, incoraggia Goebel a creare qualcosa di completamente diverso, al fine di evitare che, come accaduto con “Abracadabra”, terze parti continuino a chiedergli conferma di essere lui stesso l’autore della coreografia. Sebbene non ci siano stati scambi diretti pubblici fra Jackson e Germanotta, in varie interviste la stessa ha rivendicato la paternità – o, dato l’appellativo di “Mother Monster” con cui i fan si riferiscono a Gaga, la maternità – della propria estetica, dichiarazioni nelle quali i più attenti hanno individuato un riferimento nemmeno troppo velato alle richieste avanzate dall’ex collaboratore. La figura dell’artista moderno è divenuta molto più complessa rispetto al passato, con una molteplicità di collaboratori intorno allo stesso che contribuiscono a stabilirne le caratteristiche. Ciascuna di tali figure, peraltro, è titolare di diritti di proprietà intellettuale che sono da bilanciare con quelli di titolarità dell’artista. Si pensi, a titolo di esempio, ai co-autori, ai musicisti, ai produttori esecutivi e musicali, ai ballerini, nonché a tutti coloro che sono coinvolti nelle iniziative relative al marketing. Di conseguenza, occorre una sempre maggiore attenzione, non soltanto da parte dell’artista stesso, ma anche dell’entourage, nei confronti di un pubblico che sta crescendo, in termini di consapevolezza, di pari passo con la presa di coscienza maturata negli stessi artisti in relazione ai propri diritti.