Il presente sito utilizza dei cookie di tracciamento al fine di valutare la provenienza ed il comportamento dell'utente.
Per saperne di più leggi la Privacy Policy e la Cookie Policy.
Clicca su ACCETO per consentire l'utilizzo dei Cookies oppure clicca su DECLINO per proseguire in forma anonima

22
09
23

TRA RIELABORAZIONE SOSTENIBILE E VIOLAZIONE DI MARCHIO: IL CASO LEVI’S VS. COPERNI

Mentre le Fashion Weeks di New York e Londra sono appena state archiviate e le passerelle milanesi stanno per essere svelate, una disputa legale si è appena accesa nei confronti del brand simbolo della scorsa stagione della moda. Nessuno, infatti, ha dimenticato la performance offerta, nello scorso mese di ottobre, durante la Fashion Week di Parigi, quando Bella Hadid ha calcato la passerella con il cosiddetto “spray dress” di Coperni, un abito che le è stato confezionato addosso in tempo reale di fronte agli occhi sgranati dei fortunati spettatori.

Lo scorso 7 settembre, il brand francese di pret-à-porter fondato nel 2013 da Sebastien Meyer e Arnaud Vaillant è stato convenuto dinanzi ad una corte federale californiana da Levi’s, colosso nella produzione di jeans, il quale ha lamentato, da un lato, la violazione dei propri diritti di marchio e, dall’altro, la vendita di propri prodotti modificati con informazioni insufficienti per il consumatore. Con riferimento al primo tema, Levi’s ha evidenziato la scelta, da parte di Coperni, di inserire, nei capi di abbigliamento, in particolare gonne e pantaloni, sia un rettangolo in pelle in corrispondenza dei passanti per la cintura sia, accanto alla tasca posteriore, un piccolo rettangolo di tessuto. Natura e posizione delle due forme, secondo la prospettiva dell’attrice, sarebbero forieri di creare un rischio di confusione nei confronti del consumatore medio, confliggente con i diritti di privativa di Levi’s. La società nata a San Francisco, infatti, risulta titolare di una molteplicità di registrazioni per quello che la medesima indica come “Tab trademark”, oggetto, peraltro, di una notevole strategia di tutela che si è tradotta in una molteplicità di contestazioni nei confronti di imprese manifatturiere di capi di abbigliamento, nonché rivenditori, più o meno noti. Nel caso di specie, è dibattibile il fatto che il consumatore di riferimento possa essere tratto in inganno, con riferimento all’origine del prodotto, dalla presenza dei due elementi segnalati da Levi’s, dal momento che i prodotti commercializzati dall’impresa francese recano la scritta “COPERNI” in caratteri maiuscoli.

Tuttavia, proprio su questa caratteristica si innesta la seconda istanza dell’azione legale depositata, la quale pone dinanzi all’attenzione del giudice una situazione molto più specifica rispetto a quella che si verifica nel momento in cui una società imprime sui propri prodotti segni  distintivi che richiamano o, addirittura, riproducono, i segni distintivi di un concorrente o di un operatore del medesimo settore merceologico di riferimento. Nel caso di specie, infatti, Levi’s rimarca come corrisponda ad una propria prassi quella di sottoscrivere accordi di partnership o di collaborazione con altri brand, tramite i quali sono concessi in licenza alcuni dei propri marchi. Tra essi, proprio il “Tab trademark”, ma anche la cucitura sulla tasca denominata “Arquate trademark”, l’uso dei quali è oggetto di contestazione nei confronti di Coperni. In particolare, Levi’s sottolinea come siano stati o siano attualmente in essere accordi di questo tipo con società operanti nel settore dell’abbigliamento con un posizionamento molto simile a quello di Coperni, al fine di evidenziare come tale ultima società intenda “sfruttare” tale situazione a proprio vantaggio, con il risultato della diluizione dei marchi dell’attore. Un’attività, quella posta in essere dal convenuto, resa ancor più semplice dal moltiplicarsi del trend delle collaborazioni fra brand, ormai esploso in particolare nel mondo della moda (ne abbiamo parlato qui).

L’unicità delle circostanze oggetto di contestazione da parte di Levi’s, tuttavia, non si conclude con quanto sopra. Infatti, Coperni propone ai propri clienti, altresì, jeans cosiddetti “rielaborati”: essi consistono in prodotti – o parti di prodotti – originali Levi’s, dunque lecitamente identificati tramite i marchi di titolarità della stessa, che Coperni procede a trasformare in nuove gonne e pantaloni. Di conseguenza, secondo l’opinione dei legali di Levi’s, ciò renderebbe ancora più complesso, per il consumatore, distinguere i prodotti Coperni nascenti da prodotti Levi’s dai prodotti Coperni sui quali, invece, vengono apposti marchi simili a quelli della multinazionale californiana. Un ruolo fondamentale per l’esito della disputa potrebbe essere svolto dagli obblighi informativi a carico del cosiddetto “reseller” nel contesto della cosiddetta “first sale docrine”: essa prevede, infatti, la possibilità di rivendita di un prodotto identificato sul mercato da un determinato marchio a condizione che, da un lato, lo stesso sia già stato posto in commercio dal produttore e, dall’altro, che non vi siano margini di errore per il consumatore. Al fine di rispettare il secondo dei due criteri cumulativi, è ovviamente posta, a carico del rivenditore, l’obbligazione di porre in essere tutte le cautele necessarie ad evitare che il consumatore medio, dunque quello che, nella prospettiva del diritto, è connotato da ordinaria diligenza, sia tratto in errore. Allo stato attuale, nessuna indicazione è presente sui canali di Coperni in relazione alle modalità attraverso le quali i prodotti originali Levi’s sono rielaborati dalla stessa.

Soltanto la comparsa di risposta di Coperni dinanzi alla corte permetterà di comprendere la strategia che tale azienda intende adottare e quali riflessi la stessa avrà per il settore moda nel proprio complesso.